Il Riscatto del Gin: Dalla Gin Craze all’Epoca Vittoriana
I problemi di cui parlavamo nell'articolo precedente (La storia del gin) e quindi la sua drastica riduzione nel consumo non ne segnarono la fine, ma al contrario aprirono la strada a una nuova rinascita: più consapevole, regolamentata e orientata alla qualità. Con l’entrata in vigore di norme più severe e l’abbandono delle pratiche improvvisate del passato, cominciarono ad affermarsi distillerie più strutturate e professionali, decise a restituire dignità a un distillato fino ad allora associato al degrado sociale.
Fu nella seconda metà del XVIII secolo, grazie anche alla reintroduzione della distillazione dei cereali, che il gin iniziò a evolversi in modo più concreto. In questo periodo sorsero alcune delle prime distillerie storiche: la Finsbury Distillery, fondata da Joseph Bishop nel 1740; la distilleria di Alexander Gordon, aperta nel 1769 a Londra; e, nel 1793, l’inizio della produzione del celebre Plymouth Gin da parte della famiglia Coates. Queste realtà si distinsero per l’adozione di metodi più puliti, l’impiego di ingredienti selezionati e una visione più moderna, orientata alla produzione di un gin più raffinato, adatto al gusto della nascente borghesia urbana.
La trasformazione del gin si inseriva perfettamente nel clima della Rivoluzione Industriale, che stava rivoluzionando la produzione, i consumi e la società inglese nel suo complesso. A questo miglioramento qualitativo si affiancò anche un profondo cambiamento d’immagine. Tra gli anni 1820 e 1850, soprattutto a Londra, nacquero i primi Gin Palace: locali eleganti e scintillanti, decorati con specchi, vetrate colorate, ottone lucente e illuminazione a gas. Lontani dalle taverne malfamate della Gin Craze, offrivano un’esperienza di consumo più ordinata, frequentata da una clientela più rispettabile. Così, il gin cominciò a scrollarsi di dosso l’etichetta di bevanda popolare e degradante, diventando un distillato socialmente accettato. Un passaggio cruciale in questa evoluzione fu l’introduzione del Coffey Still, l’alambicco a colonna brevettato nel 1830 da Aeneas Coffey. Questa innovazione tecnologica consentiva di ottenere un distillato più puro, fresco e privo di impurità, perfetto per l’aromatizzazione con ginepro e altre botaniche. Fu la svolta che portò alla nascita del London Dry Gin, uno stile elegante, bilanciato e limpido, destinato a diventare il modello di riferimento internazionale.
Nel frattempo, il gin iniziava a varcare i confini del Regno Unito, diffondendosi all’interno dell’Impero britannico. Il caso più emblematico fu l’India, dove il clima tropicale e le difficili condizioni sanitarie resero necessarie soluzioni pratiche per combattere la malaria. Il chinino, principio attivo estratto dalla corteccia di china, era la cura più diffusa, ma il suo sapore amaro lo rendeva difficile da assumere. Per migliorarne la palatabilità, veniva diluito in acqua gassata zuccherata, dando origine alla tonica. Tuttavia, anche così, il gusto restava sgradevole. Gli ufficiali britannici iniziarono quindi ad aggiungervi il gin, facilmente reperibile tra le forniture militari. Nacque così il celebre Gin & Tonic: un drink semplice ma equilibrato, dissetante e aromatico, che offriva non solo un mezzo per assumere il chinino, ma anche un momento di piacere e familiarità, lontano da casa. Con il tempo, il Gin & Tonic divenne un simbolo dello stile di vita coloniale britannico, diffondendosi dai tropici fino ai salotti londinesi e ai club dell’élite imperiale.
Cocktail, Bartender e Proibizionismo: L’Ascesa del Gin
Le origini dei cocktail sono da sempre oggetto di dibattito. C’è chi ne attribuisce la paternità all’Italia, dove nel 1786 il distillatore Antonio Benedetto Carpano inventò il vermouth, e chi, invece, vede nel punch anglosassone uno degli antenati diretti della mixology. Tuttavia, è ormai ampiamente riconosciuto che la mixology moderna — intesa come arte codificata della miscelazione e stile di consumo — prende forma negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo. È proprio in America che nasce un amore smodato per i drink miscelati, contribuendo a fare del gin uno dei distillati più popolari e riconosciuti al mondo. Non a caso, in questo periodo in America il gin comincia ad essere prodotto appositamente per la miscelazione, adattandosi ai gusti e alle esigenze della nascente cultura del cocktail.
Lo sviluppo dei cocktail si deve anche alla comparsa di una nuova figura: il bartender. Tra i pionieri spicca Jerry Thomas, considerato il padre della mixology americana. Nel 1862 pubblicò How to Mix Drinks or The Bon Vivant’s Companion, considerato il primo manuale mai stampato dedicato ai cocktail. Quest’opera rappresenta una pietra miliare nella storia della miscelazione e ci permette oggi di osservare l’evoluzione del gusto nel mondo del gin. Nelle sue pagine, così come nella seconda edizione del 1888, la maggior parte dei cocktail a base di gin prevedeva l’uso di jenever o Old Tom Gin, stili più dolci e ricchi rispetto ai gin secchi odierni. Solo nel 1908, con la pubblicazione di The World’s Drinks and How to Mix Them di William Boothby, compaiono le prime ricette con l’utilizzo del Dry Gin, segno di una nuova fase nel gusto e nella tecnica della miscelazione.
Con l’entrata in vigore del Proibizionismo negli Stati Uniti, il 16 gennaio 1920, la produzione, vendita e trasporto di alcolici furono dichiarati illegali. Tuttavia, anziché fermare il consumo di alcol, questa misura portò alla nascita di un fiorente mercato nero. Il gin, per la sua semplicità di produzione e i costi relativamente bassi, divenne il distillato di riferimento nei speakeasy, i celebri bar clandestini dell’epoca. In assenza di controlli e regolamentazioni, si diffuse il cosiddetto “bathtub gin” — un gin prodotto artigianalmente, spesso in ambienti domestici come cucine o vasche da bagno, con ingredienti di dubbia qualità e metodi approssimativi. Nonostante ciò, l’ingegno dei bartender permise di compensare le imperfezioni con ricette studiate per mascherare i difetti del distillato.
Quando il Proibizionismo fu abolito nel 1933, il gin non solo sopravvisse, ma ne uscì addirittura rafforzato. Gli anni ’40 e ’50 segnarono il trionfo dei Dry Gin, sempre più presenti nei bar di tutto il mondo. A dominare la scena fu il Dry Martini, divenuto simbolo di eleganza e raffinatezza. Il gin viveva il suo momento d’oro, adorato dai bartender, utilizzato in decine di cocktail iconici e celebrato da figure leggendarie come Ernest Hemingway, Winston Churchill e Frank Sinatra. In quegli anni, era molto più di un semplice distillato: era un’icona di stile, gusto e cultura internazionale.
Declino, Resistenza e Rinascita: Il Gin dagli Anni ’50 a Oggi
A partire dalla seconda metà del Novecento, il gin entrò in un periodo di declino, proprio mentre un nuovo distillato cominciava a conquistare il mercato globale: la vodka. Proveniente dall’Europa dell’Est ma rilanciata con forza dal marketing americano, la vodka si impose grazie al suo gusto neutro e alla grande versatilità nei cocktail, diventando la base preferita per drink come il Vodka Martini, il Moscow Mule e, più tardi, il Cosmopolitan.
Il gin, al contrario, venne percepito come un distillato più complesso e meno immediato, soprattutto da parte di un pubblico giovane sempre più attratto da sapori morbidi e facili. In molti paesi occidentali — inclusi gli Stati Uniti e gran parte dell’Europa — il consumo di gin diminuì sensibilmente tra gli anni ’60 e ’90, relegandolo a un ruolo secondario nei bar e nella cultura pop.
Tuttavia, il gin non scomparve mai del tutto. Rimase al centro di grandi classici come il Dry Martini e il Gin Tonic, che continuarono a godere di una solida base di appassionati, specialmente in Inghilterra, dove il legame con il distillato non si spezzò mai davvero. Un segnale di svolta arrivò nel 1987, con il lancio sul mercato di un gin dal profilo completamente nuovo: Bombay Sapphire. Presentato in una elegante bottiglia di vetro azzurro, questo gin definito “premium” mise in secondo piano il ginepro per dare spazio a una miscela più leggera e floreale di botaniche, offrendo un’alternativa più raffinata ai bevitori di vodka e contribuendo a rilanciare l’interesse per il gin su scala internazionale. Negli anni successivi si assistette a una rinascita dei grandi marchi storici, come Plymouth e Beefeater, seguita da nuove sperimentazioni. Nel 1999 nacque Hendrick’s, un gin destinato a diventare iconico grazie al suo approccio innovativo: metodi di distillazione distintivi e botaniche inedite, come la rosa e il cetriolo, ne ridefinirono il profilo sensoriale.
Fu proprio all’inizio degli anni 2000 che esplose a livello globale il movimento del craft distilling, con la nascita di microdistillerie indipendenti desiderose di sperimentare con botaniche locali, tecniche artigianali e packaging curati. Da Londra a San Francisco, da Berlino a Firenze, centinaia di nuovi gin cominciarono a essere prodotti, ognuno con una forte identità territoriale, spesso orientata al biologico e alla sostenibilità. Oggi il gin vive una nuova età dell’oro. È apprezzato sia da un pubblico giovane che da intenditori, reinterpretato in chiave gourmet, protagonista di degustazioni, edizioni limitate, cocktail d’autore e persino abbinamenti gastronomici. Dal bathtub gin dei tempi del Proibizionismo alle etichette luxury da meditazione, il gin ha saputo resistere, adattarsi e rinascere, trasformandosi da distillato popolare a vera e propria cultura liquida, in continua evoluzione.